Cultura

Daniele Segre: le mie Vecchie. Dimenticando gli anziani ci perdiamo noi

Oggi non ci sono più i sottoproletari ma i sottoculturati in preda ad uno spappolamento identitario. E i vecchi, con le loro paure e la voglia di vivere, con i loro ricordi e il loro bisogno di aiuto, sono lì ad avvertirci di non cadere nel baratro

di Benedetta Verrini

Segre con le due protagoniste del film “Vecchie”

«Vecchi e vecchie, dobbiamo pur aver il coraggio di chiamarli così, senza ipocrisie. Un’ipocrisia che serve solo a nascondere le nostre crudeltà e il nostro oblio», dice Daniele Segre. Vecchie, come il titolo del suo film presentato giusto un anno fa a Venezia e interpretato da Maria Grazia Grassini e Barbara Valmorin. Un film che ha ottenuto importanti riconoscimenti al prestigioso Festival del Cinema Italiano di Annecy (premio per il miglior film e premio per la migliore interpretazione femminile alle due interpreti).

Vecchie (Vacanze al mare), è stato poi il titolo, un po’ edulcorato, di uno spettacolo teatrale (stesso regista e stesse interpreti) che la scorsa stagione ha tenuto banco all’Eliseo di Roma. Protagoniste due donne sui 65 anni che per tutto lo svolgimento della storia resteranno in camicia da notte e non riusciranno mai ad uscire dall’appartamento. L’universo degli anziani è stato raccontato da Segre anche in Tempo vero (2001), un film girato a Reggio Emilia dedicato a coloro che si trovano nella particolare condizione di avere perso o di stare, a poco, a poco, perdendo la propria mente, e in Quella certa età (1996) dedicato all’affettività dei vecchi.


«Dire che i vecchi vengono abbandonati mi pare un’analisi molto realista, le cose vanno esattamente così. Basti pensare a quella donna di Caltanissetta di 81 anni che dopo aver dato alla luce e allevato 12 figli (di cui 10 ancora in vita), a fine luglio si è vista abbandonare per ben tre volte. Prima nei locali dell’ufficio assistenza sociale del Comune, poi nella sala d’attesa della Questura e infine sulla strada, sotto il sole per diverse ore, davanti alla porta dell’appartamento di uno dei figli, assente. I figli di Maria Di Dio dovevano andare in vacanza. è un’immagine ancor più lancinante dei cameroni finalmente refrigerati allestiti in Francia per far fronte ai decessi provocati da calura e solitudine. “Perché tutto questo?” si è chiesta la povera vecchia siciliana».

Perché, Segre? Dobbiamo chiederci anche noi. «Vedi, se abbandoni i vecchi, se li lasci morire soli, uccidi anche te. Quegli obitori pieni d’anziani sono un urlo tragico, lo specchio del nostro vuoto, della nostra vita senza più passato e senza più memoria. Ecco, la solitudine degli anziani, la loro paura di morire soli, la loro più grande ansia, è lo specchio di una condizione di vita, la nostra, che sceglie di non aver più un passato per consegnarsi ai capricci di un’immaginazione nutrita dalle pubblicità».

Il rispetto della propria storia, delle radici provate e collettive, il rispetto per la propria identità anche familiare dovrebbero essere sentimenti semplici, per così dire, naturali. «E invece no, dobbiamo prendere atto che non è più così, siamo davvero sull’orlo di un baratro di civiltà. Oggi non ci sono più i sottoproletari ma i sottoculturati in preda ad uno spappolamento identitario. E i vecchi, con le loro paure e la voglia di vivere, con i loro ricordi e il loro bisogno di aiuto, sono lì ad avvertirci di non cadere nel baratro».

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